Mobbing

Mobbing

A cura di Elisabetta Trecani

Cos’è il mobbing?

Con il termine mobbing si indicano quei comportamenti perpetuati in modo continuo e sistematico nell’ambiente lavorativo, tra colleghi (c.d. mobbing orizzontale) o tra superiori gerarchici/datore di lavoro e dipendente (c.d. mobbing verticale o bossing), a causa dei quali la vittima “mobbizzata” è posta in una costante posizione di persecuzione psicologica e prevaricazione, col fine di estrometterla o emarginarla dal luogo di lavoro, e da cui può conseguire un danno psicofisico.

Caratteristica del mobbing è di essere costituito da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore (sul punto, Cassazione Civile n. 22393/2012).

Detta condotta è dunque integrata da una moltitudine di atti, che possono anche non risultare intrinsecamente illegittimi: ben può darsi infatti che questi, se presi singolarmente, non integrino di per sé un illecito, ma che sia la loro sistematicità ad essere rilevante ai fini tanto del diritto civile quanto del diritto penale.

Come tutelarsi dal mobbing?

E’ possibile rivolgersi ad un avvocato civilista tanto quanto ad un avvocato penalista, i quali consiglieranno la strada migliore per ottenere una tutela rapida ed efficace.

Mobbing e avvocato civilista

Gli effetti delle condotte di mobbing possono assumere rilevanza civilistica sotto tre profili.

1) La tutela risarcitoria

Gli articoli 2043, 2049 e 2087 del codice civile affermano la responsabilità contrattuale del datore di lavoro (art. 2087 c.c.) e l’ipotesi integrante la c.d. responsabilità extracontrattuale o aquiliana (art. 2043 c.c.). Risulta poi rilevante quanto disposto dall’art. 2049 del codice civile, il quale obbliga il datore di lavoro a rispondere dei danni cagionati dal fatto illecito commesso dal proprio dipendente durante lo svolgimento dell’attività lavorativa.

La tutela di tipo risarcitorio permette chiedere il risarcimento del danno patrimoniale e/o non patrimoniale.

Parliamo di danno patrimoniale quando vi è una lesione diretta del patrimonio del soggetto “mobbizzato”, la quale può conseguentemente sfociare nella richiesta di ristoro in denaro (c.d. risarcimento per equivalente) oppure in un risarcimento in forma specifica, che ripristini dunque – se possibile – la situazione esistente prima del verificarsi della lesione.

Si configura invece una fattispecie di danno non patrimoniale quando si invoca la responsabilità derivante dalla lesione di diritti fondamentali protetti dalla Carta costituzionale.

Potranno dunque essere oggetto di risarcimento:

    1. Danno BIOLOGICO (ossia, il danno subito alla salute psico-fisica)

La configurabilità del danno biologico non consegue automaticamente ad ogni condotta illegittima, ma richiede la rigorosa dimostrazione da parte della vittima. Questa dovrà, da un lato, provare la pregiudizialità del comportamento del datore di lavoro e, dall’altro, dimostrare che l’evento lesivo consegua in modo immediato e diretto dall’illecito subito.

  1. Danno MORALE (ossia, il danno all’integrità morale)

Il danno morale si configura, in alcuni casi, come una frazione del danno biologico. Con danno morale si intende il perturbamento d’animo del soggetto a seguito di comportamenti “mobbizzanti”. Per la giurisprudenza il danno morale si considera provato anche attraverso ragionamenti presuntivi desumibili dalle tipologie di condotte tenute dal “mobber”, in particolare possono avere valore indiziario circa l’esistenza di pregiudizio la qualità e la frequenza delle azioni ostili.

  1. Danno ESISTENZIALE (ossia, il danno alla qualità della vita)

Il danno esistenziale si configura quando a causa delle condotte vessatorie del “mobbizzante”, le condizioni di vita del “mobbizzato” subiscono un sensibile peggioramento, il quale è risarcibile se queste lesionano diritti inviolabili della persona.

 

2) La tutela riparatoria

Gli strumenti concessi al lavoratore mobbizzato consentono – in caso di licenziamento – di essere riassunto o, in alternativa, di vedere ricostituita la propria posizione aziendale (ad esempio, in caso di demansionamento o dequalificazione).

 

3) La tutela inibitoria

A fronte di atti integranti una condotta di mobbing è possibile agire d’urgenza ex 700 c.p.c.: la tutela cautelare urgente prevista dall’art. 700 c.p.c.consente infatti di anticipare, seppur in maniera provvisoria, parte degli effetti della probabile decisione finale sul merito della causa.

La  vittima di mobbing  potrà chiedere in via d’urgenza, la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento o in caso di trasferimento; la reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza o a queste equivalenti, qualora abbia subito demansionamenti o dequ alificazioni. È prevista altresì anche la possibilità di richiedere la sospensione delle sanzioni disciplinari irrogate nei suoi confronti; la sospensione degli ordini di servizio impartitigli dal superiore gerarchico in esecuzione della strategia vessatoria, ecc.

Per esperire tale procedura occorrerà la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 700 c.p.c., ossia che il diritto fatto valere dal soggetto mobbizzato sia minacciato da un pregiudizio grave e irreparabile.

Che prove bisogna fornire all’avvocato quando si agisce per mobbing?

In tema di mobbing il compendio probatorio da fornire al giudice varia a seconda del regime di responsabilità e del tipo di danno riscontrato.

Ai fini del raggiungimento di sufficienti elementi probatori, teoricamente è utilizzabile qualunque mezzo istruttorio (documentale, testimoniale, peritale). Va menzionato come nella prassi le prove testimoniali sono spesso caratterizzate da profonde sacche di omertà per il timore di eventuali ritorsioni da parte del mobber datore di lavoro.

Nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della condotta di mobbing, il giudice opera fondamentalmente come uno storico cui è demandato il compito di ricostruire la verità dei fatti.

Ne consegue una indiscussa complessità del regime probatorio a causa della possibilità di simulazione del quadro sintomatico dei danni derivanti dal mobbing e della difficile decifrazione delle concause che con tale fenomeno possono confondersi.

La Suprema Corte ha ribadito la necessità da parte del lavoratore di fornire sufficienti elementi probatori assolvendo all’onere previsto dall’art. 2697 c.c..

Tale norma richiede la dimostrazione dell’effettiva esistenza dei comportamenti e delle vessazioni denunciate, unitamente alla prova della omessa osservanza da parte del datore di lavoro o di chi ne faceva le veci in sede amministrativa, di tutte le misure di prevenzione atte a scoraggiare condotte vessatorie o aggressive, dolosamente preordinate ad arrecare lesioni al dipendente.

A ciò occorre aggiungere la dimostrazione dell’effettività del danno alla salute subito dal dipendente, oltre al nesso eziologico attraverso l’accertamento a seguito dell’istruttoria, della manifestazione della patologia in connessione con il rapporto di lavoro anche attraverso l’apporto di una consulenza medico-legale volta a fornire la rigorosa prova dell’immediatezza.

Alla luce di tali  considerazioni, fondamentale si rivela la prova della ripetitività e sistematicità della condotta da mobbing, evidenziata spesso anche nelle proposte di legge fino ad oggi presentate, al fine di consentire il collegamento della causa del danno non ad un unico comportamento ma ad una fattispecie complessa a formazione progressiva, in cui la molteplicità di fatti logicamente e cronologicamente legati tra loro configurino il senso dell’immediatezza sotto il profilo della normalità e della verosimiglianza.

Come quantificare il danno subito a causa del mobbing?

La casistica più attuale sembra registrare un sistema liquidativo basato sul criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c., scevro dalle restrizioni di parametri precostituiti e sempre più proteso all’analisi minuziosa delle circostanze del singolo caso concreto e alle reali incidenze in negativo sulle relazioni interpersonali del soggetto.

La matrice emozionale sottesa al danno da mobbing nella sua consistenza fortemente offensiva dell’integrità morale della vittima, impone un sistema liquidativo attento all’analisi del pregiudizio che ne deriva, spesso involgente la dignità personale o la perdita di chances, la dequalificazione o un vero e proprio danno alla salute a carattere  permanente o temporaneo, tutti profili di lesione diversamente connotati a seconda delle situazioni e dei soggetti coinvolti.

 

Mobbing e avvocato penalista

È evidente che le condotte del mobber singolarmente analizzate possano già di per sé costituire illecito penale nella forma della minaccia, della violenza privata, della diffamazione e così via, ma non esistendo precipuamente il reato di mobbing si è posta nella prassi la problematica di un trattamento sanzionatorio coerente con la gravità della condotta mobbizzante, anche qualora le condotte singolarmente poste in essere non abbiano, singolarmente esaminate, rilevanza penale.

Ad oggi il nostro ordinamento non prevede specifiche ipotesi di reato a carico del datore di lavoro o del collega per condotte di vessazione morale, fisica, dequalificazione professionale, laddove tali condotte siano seriali e comportino un potenziale danno al soggetto derivante da un perpetrato stress psico-fisico.

Di conseguenza, ad oggi, le condotte costituenti reato e pur poste in essere all’interno di una più ampia condotta di «mobbing», hanno dovuto trovare spazio ai margini delle più disparate figure incriminatrici già esistenti.

Oltre a diffamazione e alla minaccia, i cui ambiti applicativi sono auto-evidenti, i casi in cui in cui dalla condotta vessatoria derivasse una malattia o la morte della vittima hanno assunto rilevanza per i delitti di lesioni personali dolose o colpose o nell’omicidio doloso o colposo. In altre circostanze ha trovato spazio la contestazione dell’art. 610 c.p., delitto di violenza privata, il quale prevede che chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni e che la pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339, laddove la condotta vessatoria fosse finalizzata ad ottenere uno specifico comportamento da parte del mobbizzato (spesso le dimissioni o il trasferimento).

Tuttavia, detta norma non è parsa da sola idonea a punire la condotta di mobbing trattandosi di un reato d’evento in primis, nonché inadatta a reprimere il mobbing in quanto fenomeno caratterizzato da condotte reiterate nel tempo. La giurisprudenza ha così risposto all’esigenza di una tutela penale del «mobbing» con la sussunzione delle condotte mobbizzanti nel delitto di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p. (Corte di Cassazione Penale n. 10090 del 12 marzo 2001).

Ovviamente, la fattispecie di cui all’art. 572 c.p. non potrà trovare applicazione indiscriminatamente in tutti i casi di mobbing, ma solo qualora il contesto lavorativo possa essere ricondotto ad un ambiente “familiare” o “para-familiare” per tipologia di organizzazione e dimensioni.

Per approfondire>> clicca qui per un contatto con l’avvocato penalista Mobbing nel diritto penale

 

Cosa fare se sei vittima di mobbing?

Per attivare i rimedi tanto civilistici quanto penalistici, la legge richiede che la vittima fornisca una prova precisa e adeguata circa gli atti persecutori perpetrati su un lungo arco temporale.

È pertanto anzitutto necessario raccogliere le idee e fare un elenco quanto più preciso possibile delle condotte vessatorie che si sono subite, e del periodo di riferimento.

Fatto questo, sarà poi necessario raccogliere quante più prove possibili circa quelle condotte.

Come già detto, prima di fare denunce o agire in autonomia, conviene contattare un avvocato del lavoro che esamini il tuo caso per valutare quale strada sia meglio intraprendere, sulla base delle specificità del tuo caso concreto.

Si apriranno diverse possibilità:

  • Denuncia penale

  • Azione civile per il risarcimento del danno

  • In caso di licenziamento, reintegrazione nel posto di lavoro

Nel caso in cui le condotte proseguano, si può richiedere una tutela d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c.

Spesso, scelta una via non è possibile tornare indietro: un occhio esperto potrebbe consigliarti diversamente >> contattaci per maggiori informazioni

Contattaci




    Selezionando questa voce accetti le condizioni esposte nella privacy policy *.

    Selezionando questa voce presti il tuo consenso per l'invio di email con materiale informativo, news e promozioni commerciali inerenti i nostri prodotti e servizi (Leggi la nostra privacy policy completa). [Non ti manderemo più di una Newsletter al mese e potrai disiscriverti in ogni momento grazie al link presente in ciascuna Newsletter che ti invieremo.]*