Diffamazione
Il reato di diffamazione è punito dall’art. 595 c.p. e si integra quando qualcuno, comunicando con più persone, offende la reputazione di una persona.
E’ evidente che il legislatore, nel punire detta condotta, abbia voluto tutelare l’onore delle persone. E, considerata proprio la natura individuale degli interessi lesi, il reato di diffamazione è punibile solo a querela della persona offesa. La querela può essere presentata entro tre mesi dal momento in cui la persona offesa è venuta a conoscenza del fatto.
Perché possa ritenersi integrato il reato diffamazione è necessario che il fatto offensivo sia comunicato ad un minimo di due persone, anche in tempi diversi e che costoro percipiscano effettivamente l’oggetto offensivo della comunicazione.
Non si configura invece il reato di diffamazione quando qualcuno offenda un’altra persona senza che siano presenti terze persone: in tal caso si avrà l’illecito dell’ingiuria, reato di recente abrogazione.
Le aggravanti della diffamazione: il mezzo della stampa
L’art. 595 c.p. prevede un aggravio della pena qualora la condotta sia posta in essere attraverso il mezzo della stampa o qualsiasi altro mezzo di pubblicità.
Sicuramente, un numero consistente diffamazioni si verificano, nella prassi, proprio su testate giornalistiche cartacee, online o social network.
La prevalente giurisprudenza, invero, equipara i social network ad un mezzo di pubblicità, riconoscendo quindi la diffamazione nella forma aggravata, purché sia integrato l’elemento della “diffusione a più persone” e, quindi, per esempio, un messaggio sia inoltrato a destinatari molteplici e diversi, attraverso la funzione di forward o a gruppi di Whatsapp, su Twitter o Facebook.
La diffamazione a mezzo stampa
Il reato di diffamazione a mezzo stampa è previsto dal codice penale all’art. 495 c.p. (fattispecie aggravata della diffamazione semplice) ed è una norma da sempre controversa a causa della necessità che la tutela dell’onore e del decoro delle persone oggetto dell’informazione giornalistica siano contemperate con il diritto di cronaca.
In materia la Corte di Cassazione ha stabilito che “in ordine alla configurabilità dell’esercizio del diritto di cronaca e del diritto di critica, che rispetto al primo consente l’uso di un linguaggio più pungente ed incisivo, presupposti per il legittimo esercizio di entrambi sono:
a) l’interesse al racconto, ravvisabile quando non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria dei soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la pubblicazione di stampa;
b) la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, nel che propriamente si sostanzia la c.d. continenza, nel senso che l’informazione di stampa non deve trasmodare in argumenta ad nomine, né assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro;
c) la corrispondenza tra la narrazione dei fatti realmente accaduti, nel senso che deve essere assicurata l’oggettiva verità del racconto, la quale tollera, perciò, le inesattezze considerate irrilevanti se riferite a particolari di scarso rilievo e privi di valore informativo” (Cass. Penale n. 22600/13).
In altre parole, non solo il racconto giornalistico deve essere di interesse pubblico e reale, ma anche continente, ossia formalmente corretto nella propria esposizione avuto riguardo non solo al contenuto dell’articolo, ma all’intero contesto espressivo in cui l’articolo è inserito (Cass. Pen. n.2661/13)