Controlli a distanza del lavoratore
22 Giu 2020
Quali Controlli a distanza sono legittimi e quali non lo sono?
L’Art. 21 Legge 81/2017 rinvia esplicitamente, in materia di controlli a distanza, all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
L’articolo 4 fissa un principio stringente: sono vietati l’installazione e l’uso di apparecchiature tecnologiche e sistemi in grado di controllare a distanza lo svolgimento dell’attività lavorativa del dipendente, a meno che il ricorso a questi apparecchi non venga prima concordato con accordo sindacale o autorizzato dall’Ispettorato territoriale del lavoro.
La normativa infatti, seppur del 1970, è stata adeguata agli strumenti attuali dalla giurisprudenza e dal Garante della Privacy.
Ma quindi cosa si può fare e cosa non si può fare?
Controlli a distanza legittimi
1. Il datore può effettuare dei controlli tramite strumenti concordati con i sindacati, ad esempio tramite l’utilizzo di software installati sul pc;
2. Il datore può fare controlli per verificare specifiche ipotesi di illeciti. Ad esempio, se azienda sospetta che dipendente usi il pc aziendale per vedere siti pornografici durante orario di lavoro, può effettuare una verifica dei siti visitati in un certo periodo dal dipendente;
3. Il datore di lavoro può assumere un investigatore privato: ad esempio nel caso di “falsa malattia”, può far seguire il dipendente nel periodo in cui è assente.
Controlli a distanza illegittimi
1. Il datore non può usare una telecamera fissa sulla postazione di lavoro;
2. Il datore non può fare controlli indiscriminati e massivi a distanza sull’uso del Pc, né può mappare in modo costante i siti usati;
3. L’azienda non può monitorare gli spostamenti del lavoratore;
4. Il datore non può usare software aziendali, webcam e altre tecnologie per capire se lo smart worker è collegato al pc, se si trovi in casa o fuori, o verificare quali siti internet stia usando. Questi controlli sono in teoria leciti se effettuati sugli strumenti di lavoro di proprietà del datore di lavoro, ma la giurisprudenza ha dato letture a volte stringenti di questa norma, impedendo dunque un controllo anche sugli strumenti aziendali.
Codice disciplinare in sede e in Smart working
Il codice disciplinare in sede vale anche fuori – Lo smart working non salva il lavoratore da contestazioni disciplinari per l’ uso scorretto di internet e dei social network.
Lo smart working non salva il lavoratore da contestazioni disciplinari per l’ uso scorretto di internet e dei social network. Lavorare a distanza consente infatti al datore di lavoro di esercitare il proprio potere disciplinare in base all’ articolo 2106 del Codice civile e impone al dipendente di usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione. Così è stato licenziato per giusta causa il lavoratore che aveva pubblicato su Facebook la e-mail di invettive inviata al proprio superiore gerarchico, colpevole di «mettere bocca» o «questionare» sulle modalità di lavoro in giornata di smart working (Tribunale di Roma, sentenza 6022 dell’ 11 luglio 2018).
Alla e-mail dai toni accesi seguivano altri post sui social network, tutti a carattere offensivo e svilente nei confronti dell’ azienda, che sono stati considerati diffamatori dal giudice.
A nulla sono valse le difese del lavoratore, che tra le altre cose sosteneva di non aver avuto visione del codice disciplinare affisso in azienda, proprio perché spesso il suo lavoro era svolto in smart working.
Secondo il giudice, la garanzia di pubblicità delle policy non si applica quando il licenziamento «fa riferimento a violazioni di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro». Le offese pubblicate sui social network e inviate tramite e-mail, essendo reati, possono essere sanzionate a prescindere dalla specifica indicazione nel codice disciplinare e dalla relativa conoscenza da parte del lavoratore.
Il Lavoro agile e la normativa
La legge 81/2017 che ha introdotto la definizione di lavoro agile, come scelta del lavoratore quando l’ azienda glielo consente, non stabilisce un diverso tipo di contratto, ma solo una modalità particolare di svolgimento dell’ attività lavorativa, fissando alcune regole chiare. Tra queste, la norma rimette all’accordo tra le parti l’ individuazione delle condotte passibili di sanzione disciplinare, che non possono però derogare al contratto collettivo, cui è demandata la scelta del tipo di sanzioni da applicare. Questa disposizione supera la difficoltà di rendere conoscibili, tramite ad esempio l’ affissione delle policy all’ interno dell’ azienda, le regole per l’ uso degli strumenti informatici, che saranno sottoscritte dal lavoratore in sede contrattuale.
Per non creare disparità tra i dipendenti che lavorano da casa e in azienda è lecito ritenere, poi, che le sanzioni debbano essere le stesse. Quindi è pacifico che sono ammessi controlli sulle email o sui Pc anche del lavoratore in smart working.
Il datore di lavoro può effettuare controlli mirati per verificare il corretto uso degli strumenti di lavoro ma – come si legge nell’ articolo sopra – entro i limiti dettati dallo Statuto dei lavoratori. Non sono consentiti controlli occulti, continuativi o pervasivi e possono sempre essere controllate le presenze. Anche chi lavora in smart working dovrà garantire la riservatezza dei dati e usare particolari accortezze legate alla diversa modalità di svolgimento del proprio lavoro.
Dovrà quindi assicurare, con idonee misure, che soggetti non autorizzati non accedano ai dati aziendali e osservare l’ informativa sulla privacy fatta sottoscrivere dall’azienda. Valgono le stesse regole degli altri lavoratori anche per la pubblicazione di dati riservati sui social network. La Corte d’ Appello di Milano, con la sentenza 108 del 2 marzo ha stabilito che non viola la clausola di riservatezza il dirigente che pubblica su Facebook le foto della propria trasferta lavorativa. Per il giudice, i post del lavoratore consentono al più di «individuare quali siano state le tappe della trasferta e di cogliere in uno di essi – se visionato da un osservatore qualificato – il riferimento al logo di un cliente». Si tratta però di contenuti diffusi sul profilo privato del lavoratore, che di per sé non possono dirsi contrari agli obblighi di riservatezza.
Il Software Sneek
La Normativa italiana è più stringente rispetto a quella adottata all’estero: l’esempio di SNEEK
Sneek è un software nato nel 2016 che permette di controllare da remoto i lavoratori in smartworking. Infatti, tramite questo software viene scattata una foto ogni tot. Minuto (1 minuto, 5 minuti, o selezione manuale) tramite la webcam, permettendo dunque di stabilire se un lavoratore si trovi davanti al computer in maniera continuata.
Questo software ha una ampia diffusione negli Stati Uniti, mentre risulta vietato dall’interpretazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
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