Falsa denuncia e diritto alla non autoincriminazione
19 Ott 2022
E’ punibile la condotta dell’agente che abbia sporto una falsa denuncia, e ne confermi il contenuto in giudizio, al fine di non autoincriminarsi?
Il caso
Prendiamo un caso di scuola. Tizio denuncia il furto della propria autovettura, in realtà mai avvenuto, per poter riscuotere il premio dell’assicurazione.
Che reato sta commettendo Tizio?
Tizio, di fatto, sta commettendo il reato di “simulazione di reato”, facendo una denuncia a carico di ignoti, sapendo che il furto invece non è mai avvenuto.
Ora facciamo finta che la macchina sia poi ritrovata a casa di Caio, che viene a quel punto accusato di furto, o ricettazione.
Se Tizio viene chiamato come testimone nel giudizio penale a carico di Caio, ha l’obbligo di dire la verità, oppure può continuare a mentire, sostenendo la versione già resa nella (falsa) denuncia?
Sappiamo, infatti, che il testimone nel processo ha l’obbligo di dire la verità. Ma così facendo, Tizio, si auto-incriminerebbe, di fatto confessando di aver reso una denuncia mendace.
Quale obbligo sussiste, quindi, in capo a Tizio?
Ad avviso di chi scrive non è punibile la condotta dell’agente (Tizio) che confermi il contenuto della (falsa) denuncia resa tempo addietro, nel corso di un processo, al fine di non autoincriminarsi.
Si tratterebbe, infatti, di una condotta – quella di falsa testimonianza – scriminata dal diritto di esercitare in giudizio la propria difesa.
Il diritto di esercitare la propria difesa
Sul punto anche la Cassazione Penale si è pronunciata, ritenendo che l’agente, nel corso del procedimento penale ben può negare, anche mentendo, nell’esercizio del suo “ius defendendi”, costituzionalmente garantito (art. 24 della Cost.), la corrispondenza al vero di testimonianze o del contenuto di denunzie a lui sfavorevoli.
Così anche Cass. pen. Sez. VI Sent., 10/02/2021, n. 17883 rv. 281091-01 secondo cui non esorbita dai limiti del diritto di difesa l’imputato che conferma un determinato fatto di reato soltanto per negare la propria responsabilità e ciò faccia nell’immediatezza dell’accertamento o nella sede processuale propria.
La sentenza 3427/2009 della Corte di Cassazione
Si richiamano sul punto anche le argomentazioni della Cassazione, rese nella sentenza 3427/2009.
La Corte ha statuito che “non è punibile per il reato di cui all’art. 372 c.p. il testimone che abbia reso false dichiarazioni al fine di sottrarsi al pencolo di essere incriminato per reato in precedenza commesso e in ordine al quale, al momento in cui è stato sentito, non v’erano indizi di colpevolezza a suo carico”.
Non rileva che il teste renda false dichiarazioni nel procedimento che trova la sua genesi in una denunzia da lui steso sporta e rivelatasi, poi, calunniosa. In tal caso, non può revocarsi in dubbio che ricorra per il delitto di falsa testimonianza la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p., comma 1. Diversamente opinando, si violerebbe il principio fondamentale nemo tenetur se detegere, nel senso che colui che abbia formulato una falsa accusa, chiamato poi a deporre come teste nel processo instaurato a carico dell’incolpato, sarebbe costretto a confessare la calunnia antecedentemente commessa; consegue, quindi, che, in tale specifica situazione, il persistere nel mendacio non può essere sanzionato penalmente.