Gli obblighi alimentari a carico del coniuge e dei figli
05 Gen 2017
Tizio, padre, separato dalla moglie e con cinque figli, dopo anni di sostanziale lontananza dalla famiglia, si trova in situazione di particolare bisogno e gravità, per ragioni di salute ed economiche. Ci si chiede quali siano gli obblighi a carico della moglie e dei figli.
Vi sono preliminarmente da svolgere alcune considerazioni: a quale tipo di assistenza ha diritto Tizio? A quella alimentare oppure a quella sanitaria?
Nel primo caso si tratta di garantire il soddisfacimento dei bisogni primari di Tizio, ovvero il diritto agli alimenti, e questa condizione è posta indiscutibilmente a carico dei familiari. Ciò, ovviamente, nel caso in cui Tizio sia economicamente non autosufficiente. Il riferimento normativo principale è l’art. 433 del codice civile.
Gli alimenti possono essere chiesti solamente da colui il quale versa nello stato di necessità, cioè dall’alimentando, Tizio nella fattispecie. A lui non può sostituirsi nessuno nella richiesta, aspetto dell’istituto che più avanti tornerà utile.
La domanda degli alimenti deve essere proposta in sede giudiziale, ovvero rivolgendosi al Tribunale competente, e può essere avanzata unicamente dal soggetto nei cui confronti deve essere fornita la prestazione, in questo caso Tizio.
Il codice dispone un’elencazione tassativa dei soggetti obbligati. Tale tassatività porta con sé due conseguenze: la prima è che solo i soggetti indicati dal codice possono essere obbligati alla prestazione, nessun altro; la seconda è l’ordine categorico espresso, per cui, salve le deroghe previste dal codice stesso (che qui non rilevano), il richiedente dovrà rivolgersi agli obbligati nell’ordine fissato ex. art 433.
Il primo obbligato è il coniuge, successivamente sono obbligati i figli. Ciò significa che, in presenza del coniuge, i figli saranno obbligati solo se questo non è in grado di provvedere agli alimenti.
E’ chiara a tale proposito la disposizione dell’art 441 c.c. (concorso di obbligati) ove, al comma 2, è previsto che se le persone chiamate in grado anteriore non sono in grado di sopportare in tutto o in parte l’onere della prestazione, l’obbligazione è posta tutta, o in parte, a carico del chiamato posteriore.
Dobbiamo pervenire quindi ad una prima fondamentale conclusione: il coniuge separato per primo e successivamente i figli sarebbero tenuti ex lege alla prestazione degli alimenti, se il coniuge in stato di necessità ne facesse richiesta.
Per ciò che concerne gli obblighi sanitari, il discorso è maggiormente complesso, poiché i livelli minimi di assistenza sono, nel nostro ordinamento, garantiti dalla Sanità pubblica e non da solidarietà fra privati.
Ciò significa che le cure per le persone non più autosufficienti devono essere garantite dalla Pubblica Amministrazione, poiché rientranti nei LEA (livelli essenziali di assistenza).
All’assistito può essere richiesta una compartecipazione, in proporzione al valore del suo ISEE (decreto legislativo 130 del 2000), ma diversa è la richiesta nei confronti dei parenti. Lo stesso decreto stabilisce (art. 2 comma 6), che “le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti, ai sensi dell’art 433 c.c. e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’art. 438 c.c. nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata”.
Queste disposizioni parrebbero porre i familiari dell’assistito al riparo da richieste della pubblica amministrazione, come confermato da alcuni passaggi di una fondamentale sentenza resa dal Tribunale di Verona, il 16 marzo 1996: la “preminenza dell’intervento statale per il soddisfacimento dei bisogni previdenziali e assistenziali del cittadino, in quanto finalizzata alla realizzazione del principio di eguaglianza e solidarietà, esclude che l’intervento sociale sia in qualche modo interferente con la possibilità di ottenere rivalsa per le prestazioni erogate, cui lo Stato è comunque tenuto nei confronti dei cittadino”.
Ciò non implica, tuttavia, una assoluta tranquillità dalle eventuali azioni in rivalsa che, in ogni caso, potrebbero essere comunque proposte dalla Pubblica Amministrazione.
E’ prassi, infatti, che i parenti di colui il quale necessita di particolari prestazioni assistenziali di ricovero in centri che non sono di tipo ospedaliero, provvedano al pagamento almeno parziale delle stesse.
Si rileva, a tal proposito, che parte della giurisprudenza ha anche ammesso la compartecipazione dei familiari: “ nel caso in cui lo stato di salute di un assistito affetto da patologie cronicizzate non è suscettibile di miglioramento attraverso l’opera dei presidi di diagnosi e cura delle aziende sanitarie o ospedaliere , ma, attraverso l’attività di appositi presidi assistenziali, possa essere mantenuto in condizioni relativamente stabili, senza escludere la necessità di occasionali interventi di carattere sanitario, il costo delle prestazioni “de quibus” deve essere sopportato in parte dagli assistiti medesimi (e, in mancanza, dalle persone tenute alla corresponsione degli alimenti ), in relazione alla loro condizione economica, e in parte, ove si tratti di prestazioni obbligatorie, dal Comune di residenza anagrafica dell’utente anteriore al ricovero risultante dall’iscrizione negli appositi registri, il quale deve accollarsi gli oneri di degenza” T.A.R. Friuli Venezia Giulia Trieste, 04 dicembre 2004 , n. 709.
In conclusione, si deve affermare che l’assistenza sanitaria minima è garantita dalla pubblica sanità e non dai familiari e che gli enti pubblici non possono richiedere prestazioni economiche ai familiari, sostituendosi all’assistito nella richiesta di alimenti.
Vi è però la possibilità che, comunque, gli enti pubblici agiscano in giudizio per tale richiesta, poiché non vi è una precisa linea giurisprudenziale sul punto, dovendosi necessariamente valutare le singole situazioni, con riguardo alle prestazioni necessarie a chi versa in stato di necessità.
In questo caso, ove i figli e gli altri obbligati non aderiscano alle richieste, la vicenda potrebbe risolversi in sede giudiziale con la conseguente aleatorietà della decisione.
Ed è altresì sempre ammissibile la richiesta di alimenti effettuata, in prima persona, dall’alimentando, ricorrendo le condizioni di bisogno e le disponibilità dei familiari precedentemente descritte che se, sussistendo i presupposti, venisse accolta senza adesione degli obbligati, potrebbe dar diritto a rivalsa al richiedente, anche con riguardo alle eventuali spese di lite.