Il licenziamento nel periodo di malattia
11 Giu 2021
Il licenziamento nel periodo in cui il lavoratore è in malattia è ammesso? Quando?
Accade, purtroppo, non di rado che o un datore di lavoro decida di cogliere l’occasione della malattia di un lavoratore per licenziarlo ingiustamente o, dall’altra parte, che il lavoratore chieda un periodo di malattia nonostante in concreto non ne abbia bisogno, magari perché il proprio datore di lavoro si sia rifiutato di concedere un permesso o qualche giorno di ferie.
Licenziamento nel periodo di comporto
La regola generale è quella in forza del quale il lavoratore che si trovi in malattia non può essere licenziato fintanto che la malattia non superi un certo numero di giorni indicato dal contratto collettivo nazionale per la categoria di appartenenza. Il suddetto periodo viene definito come periodo di comporto.
Dopo un lungo dibattito circa il tipo di “sanzione” riservato al licenziamento in questo periodo, la giurisprudenza, di recente, è intervenuta asserendo che il licenziamento intimato al dipendente in malattia è nullo (in tal senso, Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 marzo – 22 maggio 2018, n. 12568).
Diritto al mantenimento del posto durante il periodo di comporto:
Dalla ritenuta nullità del licenziamento intimato durante il periodo di comparto ne discende il diritto del lavoratore a mantenere il proprio posto di lavoro. In questo periodo, peraltro, come si vedrà meglio nel prosieguo, non è in assoluto inibita la possibilità di licenziare il dipendente, ma il datore di lavoro lo potrà fare solo per giusta causa o per giustificato motivo oggettivo, quindi per ragioni aziendali, quali ad esempio la cessazione dell’attività e la sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa.
Licenziamento dopo il periodo di comporto
Superato il numero massimo di giorni di malattia previsto dal contratto collettivo nazionale, il datore di lavoro diviene titolare di un vero e proprio diritto a licenziare il lavoratore, a prescindere dell’esistenza di una specifica ragione soggettiva o oggettiva.
Peraltro, il licenziamento non è automatico, sarà comunque necessario che il datore di lavoro invii al lavoratore una lettera con cui intimi il licenziamento invocando a giustificazione la superata durata massima dei giorni di malattia.
Quando il licenziamento durante il periodo di comparto è legittimo
Come si è già anticipato, a determinate condizioni e in determinate circostanze, anche durante il periodo di comporto è possibile licenziare il lavoratore.
Anzitutto, laddove sussista un giustificato motivo, e quindi ragioni di tipo aziendali, ad esempio qualora, nelle more del periodo di malattia, l’azienda si trovi costretta a cessare la propria attività a causa di una crisi finanziaria oppure non può più materialmente essere svolta l’attività lavorativa che fino a quel momento svolgeva quel lavoratore e così via.
Accanto a queste ipotesi ve ne sono altre, in sussistenza delle quali il licenziamento si dice per “giusta causa” e sono proprio collegate ad un comportamento tenuto dal lavoratore in costanza di malattia e connesso alla stessa.
Il criterio di valutazione: il principio di correttezza
Il criterio in forza del quale i singoli comportamenti tenuti dal lavoratore durante il periodo di malattia devono essere valutati è il principio di correttezza. L’intero rapporto di lavoro è permeato, invero, dal principio di correttezza che permette di garantire quel rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
Durante il periodo della malattia il lavoratore è tenuto a rispettare il dovere di buona fede, diligenza, leale collaborazione.
L’idoneità del comportamento tenuto durante il periodo di malattia a ledere quei doveri deve essere valutato ex ante e a priori, tenuto conto delle patologie per le quali il congedo dal lavoro è stato richiesto e il tipo di attività svolta dal lavoratore.
Alcuni dei casi su cui più si è espressa la giurisprudenza sono l’ipotesi in cui il lavoratore venga sorpreso a svolgere un’altra attività lavorativa ovvero a svolgere attività di svago, come quella sportiva.
Il lavoratore in malattia che svolge altra attività lavorativa
Premesso che il lavoratore, come si è visto, è tenuto al rispetto di doveri di correttezza in forza del quale non dovrebbe, in ogni caso, frodare il proprio datore di lavoro, non sempre se lo stesso viene sorpreso a svolgere altra attività lavorativa può essere destinatario di licenziamento legittimo.
La giurisprudenza ha ritenuto legittimo il licenziamento anzitutto in quei casi in cui emerge che il soggetto abbia dichiarato il falso e quindi di essere affetto da una malattia di fatto inesistente, eventualmente anche al fine proprio di andare a svolgere quella attività lavorativa differente.
Ma non solo.
Anche in tutti quei casi in cui l’attività lavorativa prestata sia in concreto idonea ad impedire o comunque allungare la guarigione del lavoratore o sia in concreto incompatibile con la patologia diagnosticata.
Così come ha ritenuto legittimo il licenziamento in quei casi in cui, al di là del fatto che l’ulteriore attività lavorativa aggravasse la malattia, il soggetto andasse a prestare la propria opera a favore di un concorrente del proprio datore di lavoro. In tali circostanze, invero, si presumono, a prescindere, violati quei doveri di correttezza, buona fede e diligenza nei confronti del proprio datore di lavoro.
Se nel primo caso è onere del lavoratore provare che l’attività lavorativa svolta non vada ad aggravare la patologia per la quale ha richiesto la malattia, nel secondo caso è il datore di lavoro che anzitutto deve provare il comportamento negligente e scorretto del proprio dipendente.
Quindi, in conclusione, se il lavoratore viene sorpreso a svolgere un’attività lavorativa in costanza di malattia l’eventuale licenziamento del datore di lavoro è illegittimo se la malattia diagnosticata nel certificato di malattia è effettivamente esistente, l’attività espletata non va a rallentare il processo di guarigione, ma anzi può andare addirittura ad agevolarlo, come nel caso di malattia per stato depressivo durante la quale il lavoratore presta attività lavorativa di volontariato, che può agevolare un miglioramento dello stato di salute.
Il lavoratore in malattia che svolge attività sportiva
Questa ipotesi è affine a quella appena descritta e anche per questa bisogna fare riferimento agli stessi criteri sopra descritti.
Anche in questo caso è necessario capire se la determinazione del dipendente a svolgere un’attività di svago come quella sportiva sia contraria o meno ai dover di buona fede, correttezza e diligenza nei confronti del datore di lavoro.
La Giurisprudenza, anche in relazione a questi casi, ha affermato che l’eventuale licenziamento del datore di lavoro è legittimo se il lavoratore avesse simulato una malattia inesistente, se lo sport praticato possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro sul posto di lavoro.
Se, invece, l’attività sportiva non compromette in alcun modo il processo di guarigione o l’equilibrio psicofisico del lavoratore è del tutto legittima e inidonea a giustificare un licenziamento.