La discriminazione sul posto di lavoro in ragione dell’omosessualità

La discriminazione sul posto di lavoro in ragione dell’omosessualità

19 Apr 2022

INDICE ARTICOLO

  • LA FONTE DEL DIRITTO ALL’IDENTITA’ SESSUALE
  • QUALI CONDOTTE POSSONO INTEGRARE UNA LESIONE DEL DIRITTO?
  • QUALI SONO LE TUTELE?

Discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale

La Corte di Giustizia Europea ha avuto modo di pronunciarsi nella causa C-507/18 sulla tutela dei diritti delle persone omosessuali sul posto di lavoro, ed in particolare di chiarire i divieti di discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale. La Corte Europea ha richiamato la direttiva europea 2000/78 che, infatti, vieta le discriminazioni nell’accesso all’occupazione.

In Italia, la direttiva 2000/78 è stata attuata dal D.Lgs. n. 216/2003, che definisce il “principio di parità di trattamento” all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a) come “l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell’età o dell’orientamento sessuale”, dichiarando che esso “è suscettibile di tutela giurisdizionale” (art. 3).

In merito, la Corte UE ha ricordato che la direttiva 2000/78 si applica a tutte le persone, sia nel settore pubblico che nel settore privato, per quanto attiene alle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione.

La discriminazione sul posto di lavoro in ragione dell’omosessualità

La causa c-507-18 non è però, purtroppo, un intervento isolato nell’ambito giurisdizionale per la tutela dei diritti delle persone omossessuali, discriminate in ragione del loro orientamento.

Infatti, i tribunali di merito nella formazione di Giudici del Lavoro si sono spesso scontrati con discriminazioni tanto nelle procedure di selezione, di assunzione, di rinnovo, quanto di licenziamento.

I divieti di discriminazione sul posto di lavoro

I divieti di discriminazione introdotti nel nostro ordinamento a più riprese, in modo un po’ frammentario, trovano oggi una sistemazione organica per la parte sostanziale nei D.Lgs. n. 286 del 1998, D.Lgs. n. 215 del 2003, D.Lgs. n. 216 del 2003, D.Lgs. n. 198 del 2006 L. n. 67 del 2006 e per la parte processnale nell’art. 28 D.Lgs. n. 150 del 2011.

Discriminazione diretta e condotte vietate

  • Non è possibile chiedere informazioni sull’orientamento sessuale sul posto di lavoro, in violazione dell’art. 8 L. n. 300 del 1970 3
  • Non è possibile subordinare la conclusione di un contratto di lavoro o la sua prosecuzione al non praticare un orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale o all’affrontare il proprio orientamento sessuale come una malattia da curare.
  • Non è possibile discriminare un lavoratore in ragione delle scelte o le convinzioni personali in ragione di orientamento affettivo o regole di comportamento sessuale.

Come ci si può tutelare dalla discriminazione in ragione dell’orientamento sessuale?

Le tutele possono essere molteplici, a seconda del caso concreto:

1) Risarcimento del danno, anche da perdita di chances

2) Reintegro sul posto di lavoro, annullamento del licenziamento o del trasferimento

3) Risarcimento del danno morale causato con la condotta diffamatore di per sé considerata e danni ulteriori derivanti, per esempio da condotte diffamatorie. In caso di diffamazione, sarà possibile agire anche in sede penale

4) Risarcimento del dannno per la discriminazione collettiva

Il danno risarcibile

Secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (26972/2008) il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. – anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni:

(a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale;

(b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità;

(c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.  

Se pensi di essere vittima di discriminazione e vuoi maggiori informazioni, contattaci.