Vaccino Covid: è obbligatorio?
04 Mar 2021
Di Alice Saporiti
Il diritto alla salute
L’art. 32 della Costituzione riconosce il diritto alla salute, imponendo allo Stato di tutelarla in quanto diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività. Da ciò, discende l’obbligo per le istituzioni di garantire cure gratuite agli indigenti.
La salute rappresenta, quindi, non solo un diritto di ogni individuo, ma anche un interesse comune della collettività, nel senso che trascende il singolo individuo, per rientrare, invece, nel patrimonio sociale comune.
L’obbligatorietà dei trattamenti sanitari
Allo stesso tempo però, l’art. 32 implica altresì che nessuno possa essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge.
Alcun intervento sanitario può quindi essere imposto, se non nei casi eccezionali e tassativi previsti dalla legge. Dunque, una legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con il dettato costituzionale, allorquando il trattamento sia diretto a preservare lo stato di salute della collettività (oltre di quello che vi è assoggettato).
Il diritto alla salute sul luogo di lavoro
Il diritto alla salute si manifesta in ogni ambito della vita comune. Ad esempio, il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare tutte le misure di sicurezza per garantire e proteggere i propri dipendenti e collaboratori. Tale principio è sancito all’art. 2087 c.c. laddove impone all’imprenditore di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
L’imprenditore è, infatti, garante dell’incolumità fisica del lavoratore che presta la propria attività alle Sue dipendenze. L’art. 2087 c.c. è norma di carattere generale con finalità prevenzionistica, che in caso di violazione, fa sorgere in capo al datore di lavoro una responsabilità contrattuale, in concorso con quella extracontrattuale nei confronti del proprio collaboratore.
Obbligo di vaccino anti Covid 19
Orbene, com’è noto, da oltre un anno il nostro Paese si è trovato a dover far fronte ad una pandemia globale da Covid-19. Ad oggi, il vaccino pare essere la misura più efficace per contrastare la pandemia.
La vaccinazione rimane però volontaria, fatta eccezione per gli operatori sanitari, per i quali sono al vaglio delle leggi regionali volte a renderla obbligatoria allo scopo di prevenire e controllare la trasmissione dell’infezione negli istituti di cura, inibendo l’accesso ai reparti (in Puglia è già Legge).
L’obbligo di vaccino sul posto di lavoro
Maggiori problemi si pongono nei settori privati, ed allora ci si domanda: può un datore di lavoro subordinare l’accesso al luogo di lavoro alla previa vaccinazione? O addirittura, può somministrare direttamente il vaccino ai dipendenti?
Ad oggi quest’ultima possibilità non è prevista, in quanto i vaccini non sono attualmente disponibili per l’acquisto libero da parte delle aziende. Qualora lo diventassero, la risposta al quesito dovrebbe essere positiva, se si tiene conto del richiamato art. 2087 c.c., previa valutazione dei rischi di contagio in sede di valutazione dei rischi con il medico competente.
Essendo tenuto, come già chiarito, a garantire la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro, prevenendo gli infortuni, si dovrebbe sostenere che possa – in futuro – somministrare ai propri dipendenti il vaccino, in modo da evitare la diffusione del virus in azienda.
A questo punto sorge però spontaneo un altro interrogativo: qualora il lavoratore non voglia sottoporsi alla vaccinazione, può essere licenziato? Proviamo a fare chiarezza.
Il datore di lavoro può licenziare il lavoratore non vaccinato?
Innanzitutto il motivo del rifiuto addotto dal lavoratore deve essere legittimo, come espressione di una volontà libera del lavoratore stesso, frutto di una valutazione personale e non scientifica (es. c.d. “No Vax), o perché il dipendente è affetto da patologie incompatibili con la somministrazione del vaccino (es. allergie a farmaci o stato di gravidanza).
In tale ultimo caso, sarà possibile per l’imprenditore individuare soluzioni alternative per garantire la sicurezza di tutti i suoi dipendenti, quali incentivare lo smartworking, assicurare il distanziamento, modificare le mansioni, trasferire il lavoratore ad altre unità produttive…
Qualora tali soluzioni non siano percorribili, pare non esserci altra soluzione se non quella di sospendere il lavoratore dall’attività.
Diversamente, qualora il rifiuto di vaccinarsi sia legato a mere motivazioni di natura etica – morale, l’imprenditore potrebbe ben optare per l’automatica sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, non essendo tenuto a conciliare le pretese personali del proprio dipendente con le esigenze aziendali. L’interesse collettivo alla salute, in tal caso, prevale sulle esigenze del lavoratore.
Dovendo il datore di lavoro evitare il più possibile l’infezione da Covid sui luoghi di lavoro, potrebbe essere autorizzato a richiedere la vaccinazione ai propri subordinati ed altresì a estromettere dal contesto lavorativo (tramite licenziamento o sospensione per inidoneità) coloro si rifiutassero senza un comprovato impedimento personale di natura medico-sanitaria.
Ciò detto, questa eventualità solleva non poche preoccupazioni. L’art. 2087 c.c. finirebbe per autorizzare l’imprenditore ad imporre una vaccinazione, rendendola di fatto obbligatoria, con evidente elusione dell’art. 32 Cost che, invece, sancisce una riserva di legge per i trattamenti sanitari obbligatori.